• Sassari, la torres, svegliarsi all’isola rossa, fare colazione al bar, il tramonto di marinedda, la festa della birra trinitaiese, il "Che", il genoa, la partitella di basket, l’alcool, gli amici, le tette enormi, la libertà, la birra, la fotografia, la musica, dipingere, correre, la gnocca, viaggiare, le sbornie, la pornografia, diego armando maradona, i led zeppelin, lo stomaco attorcigliato ed il cuore che batte per qualcuna (stronza), fottersene, george best, vivere una crisi, i cccp, mandare tutti a fare in culo, giocare a subbuteo, leggere, odiare, i p*mpini, il cibo, dublino, il mare, le amiche del mare, la d***a, il calcio, le donne, fabrizio de andrè, fare un giro con la vespa, l’amore, il venerdì sera, il cecio del giorno dopo, i libri, i pink floyd, gli assilli, le occhiaie sul viso, il comunismo, essere di sinistra, le scimmie, gli afterhours, alcuni films, la lista delle persone che mi stanno sul cazzo, la pasta al forno di nonna, janis joplin, le scritte sui muri, il culo di una ragazza che ho visto l’altro giorno per strada, i campari soda, la musica sassarese, ascoltare un vinile, mincionare, la figa, una bella bastonata, gli spaghetti n°5 aglio olio e peperoncino, le cazzate dette al bancone dei bar, il panino gorgonzola e mortadella di metà mattina, la colazione dei campioni, raccontare storie, i panini di renato, la sculacciata a pecorina, il poker in cantina di a******* con cassa di birra, la sigaretta cagando, festeggiare almeno un mondiale (io ne ho festeggiato 2), impennare, andare in libreria, i tatuaggi, pisciare in mezzo alla natura, i vecchi oggetti, stare da solo, i polizieschi italiani anni '70, cucinare per gli amici, farsi un giro in bicicletta, la liquirizia, il signor g. mina, giocare a carte, andy capp, i calamari fritti del "cormorano", la mattonella di melanzane della L, Capitan Harlock, Enrico Berlinguer, qualche serie tv, essere un Impiccababbu, l'nduja. il Duca Bianco, Charles Baudelaire, il mio orto, Snoopy, bestemmiare, i Joy Division, il gin tonic, Heminguay ………. To be continued

giovedì 30 ottobre 2014

Where are the Di-Pintus?

La pittura non è fatta per decorare gli appartamenti. E' uno strumento di guerra offensiva e difensiva contro il nemicoPablo Picasso

La leggenda narra che Vincent Van Gogh in vita avesse venduto un quadro solamente. Quindi non credo che si fosse mai posto i pensieri, che in questi giorni stanno circolando nella mia mente. Che fine hanno fatto i miei quadri? Su quale parete sono stati appesi? Sono figli dati in adozione a cui, in ogni caso, tengo parecchio. Sono stati d’animo, momenti particolari e ricordi. Mi piace l’idea che, chi ne ha acquistato uno (in alcuni casi anche più di uno) provi nel guardarli, quello che ho provato io nel concepirli. Mi piace pensare che vengano ascoltati e che nel guardarli ognuno inizi un viaggio. Mi piace l’idea che una parte di me viva con loro come un ospite indiscreto e silenzioso. Mi piace l’idea che abitino una casa, un salotto, una camera da letto, una cucina o anche un cesso. Il mio ego gongola nel pensare che possano colpire eventuali ospiti o essere argomento di conversazione, donando gioia e stupore. Mi piace pensare che narrino sempre di un aneddoto. Mi piace che facciano discutere. Mi piace sapere che la loro forma riempia un vuoto, anche se si tratta semplicemente di un buco nel muro. Mi piace l’idea che abbiano sfrattato una stampa di Van Gogh (tiè beccati questo!!!). Mi piace che il mio lavoro non sia finito fino a quando il quadro non venga osservato su una parete. Mi piace pensare che tra loro e voi ci sia un dialogo…. Mi piacerebbe sapere di più!!! Attendo notizie!!! 

lunedì 27 ottobre 2014

Bayou/Tortuosità

Il Bayou (dalla lingua Choctav bayouk, che significa “tortuosità”) è un ecosistema tipico del delta del Missisipi, in Louisiana.

Bastano poche immagini e qualche nota. Una cornice fantastica, lunatica ed evocativa, integrata dalla bellissima canzone “Far from any road”, degli Handsome Family. per capire che “True Detective” non è una serie tv come tante altre. Bastano poche immagini e qualche nota per entrare immediatamente nell’atmosfera ovattata della Louisiana. Bastano poche immagini e qualche nota per incollarti allo schermo e entrare in simbiosi col proprio divano. Per lo meno a me è bastato e come!!! Ho consumato le otto puntate di questa prima serie in maniera vorace, gustandomi ogni centimetro di pellicola, ogni piccolo particolare, ogni insignificante inquadratura. La costruzione cinematografica, la scrittura intensa e ricca di sfumature e le superbe interpretazioni dei due personaggi principali (Woody Harrison e Matthew Mc Conaughey) mi hanno trasportato in una terra grigia, piovosa e povera. Paludosa e primitiva.  Il Bayou della Louisiana (il vero e proprio terzo protagonista della serie). La storia, si sviluppa nell’arco di 17 anni, è una caccia ossessiva a un serial killer. La vicenda scorre su due piani temporali, che si avvinghiano intorno all’unica storia. dove i due detective, Martin Hart e Rust Cohle che avevano lavorato insieme a un caso nel 1995, vengono richiamati nel 2012 (dopo che si erano affarrati e non si parlano più da dieci anni) dalla squadra omicidi per ricostruire un caso che probabilmente non è ancora chiuso. “True Detective” non è il classico crime story, la vicenda del serial killer infatti è secondaria, il centro della storia sono le tormentate vite dei due protagonisti. Non sono portatori di lezioni o messaggi morali, non sono dei supereroi, sono due uomini che lottano contro i loro demoni, circondati dalla loro debolezze. Il male è sempre pronto a spuntare fuori in ogni minuto. I dialoghi sono fenomenali, sono vere e proprie riflessioni filosofiche che toccano argomenti come la vita, la morte, l’amore, la paura, la presenza (o l’assenza) di dio e l’inevitabilità della sofferenza. Cazzo è finita!!! Ascoltando la sigla finale, anche questa bellissima (“Young men dead” dei Black Angels), il mio unico pensiero era: “noooooooo e ora che cazzo guardo, ne voglio ancora e ancora”. Sarà impossibile!!! Perche se ci sarà una seconda stagione, sarà con altri personaggi e in un altro fottuto posto. Che altro aggiungere: “Andate in Louisiana, è proprio un bel posto dove vivere”.

mercoledì 22 ottobre 2014

Sweat/Sudore

Sfogare [sfo-gà-re] verbo
·       verbo transitivo [sogg-v-arg] Manifestare apertamente stati d’animo o sentimenti prima controllati: s. la rabbia.
·       verbo intransitivo (aus. essere) [sogg-v-prep.arg] Detto di gas o vapore compresso, esalare. Detto di liquido racchiuso in un contenitore, uscire, sgorgare fuori dallo stesso; il fumo sfoga dal tubo.
Sfogarsi
·       verbo riflessivo [sogg-v] Manifestare uno stato d’animo o un impulso, attenuando la tensione; gli ho detto tutto e mi sono sfogato. Sfogarsi con qualcuno; confidarsi o prendersela con lui.
·       verbo riflessivo [sogg-v-prep.arg] Togliersi la voglia di fare qualcosa, facendola ripetutamente o a lungo; s. a correre.

Sindrome da pagina bianca? Argomenti esauriti? Pigrizia totale? La causa potrebbe essere una tra queste, oppure addirittura una somma di tutte. In verità vi dico che non è cosi. Ho trascurato per qualche settimana questo blog solo ed esclusivamente perché mi andava così. Non esiste un motivo principale. Come sempre ho molte cose che mi girano per la testa, avrei tanti argomenti da cui ricavare un post, ma non lo faccio. In questo momento non mi va più di tanto di stare davanti al computer e digitare parole (che cazzo dici!!! Ora che stai facendo!!! Direte voi….. vabbè non puntualizziamo). Così come non ho voglia di creare qualche “Di-Pintus”, nonostante anche li, idee e input non manchino di certo. Credo che, semplicemente, non abbia il bisogno impellente di canalizzare le mie energie in questo modo. Non ho bisogno di sfogarmi su una tela o in qualche post poco utile, se non a me stesso. Perché dopo più di un anno ho ripreso a correre e, credetemi, non c’è cosa che desiderassi di più al mondo. Ho ritrovato sensazioni perdute da un bel po’ di tempo. Ho ritrovato quella stanchezza soddisfacente alla fine della fatica, quella che ti fa sentire bene con te stesso. Ho ritrovato il campo di basket… Il pensiero dell’allenamento inizia già nel primo pomeriggio, guardo l’orologio in continuazione. Cazzo lancetta muoviti, muoviti!!! Quando manca un oretta inizia la solita liturgia. La preparazione della sacca, è sacra. Due magliette, ginocchiera, asciugamano, acqua, divise ecc… ecc.. Tutto deve essere pronto almeno mezz’ora prima. E’ bello arrivare al campo e incontrare gli avversari di sempre. Cattivi pensieri, malumori, giramenti di coglioni, humor nero e il mio, a volte cronico, malessere. Un bel quintetto di pezzi di merda. E allora corro, scatto, tiro. I polpacci bruciano pieni di acido di batteria e anche respirare fa male. Mi spacco il culo!!! Gli spacco il culo!!! Ancora una volta ho vinto io, e loro sono li, battuti e disciolti nel sudore colato sul parquet. La testa è libera. Per qualche ora mi godo rilassato la gratificante fatica, le gambe indolenzite e le farfalle nella testa. Sono un foglio bianco da riempire a piacimento. Questa notte dormirò bene. Domani probabilmente sarò nuovamente pieno di scarabocchi. E allora? … andrò a correre, farò un quadro o eventualmente scriverò un post……

domenica 5 ottobre 2014

La Grazia

“La Grazia? E’ quella cosa che ti trattiene dal raggiungere una pistola troppo in fretta, ti trattiene dal distruggere le cose troppo in fretta” Jeff Buckley


Era seduto sulla riva di un affluente del Mississippi. Guardava le cupe acque scorrere. Decise di fare un bagno. Annegò. Era il 29 maggio 1997 quando Jeff Buckley morì. Lasciando nel panorama musicale un buco tremendamente silenzioso ancora incolmato. Solo tre anni prima, il 23 agosto 1994, usciva il suo primo e unico album. Dieci canzoni che lo fecero entrare per sempre nell’olimpo delle star del rock. Fino a quel momento Jeff Buckley era poco meno che uno sconosciuto. Suonava in piccoli locali di New York portandosi dietro la pesante eredità del padre, Tim Buckley, grosso esponente del folk rock statunitense morto a 28 anni di overdose. La sua musica però aveva qualcosa di speciale, quelle preghiere malinconiche e oscure, recitate solo chitarra e voce non potevano rimanere nell’ombra. Viene messo sotto contratto dalla Columbia e subito al lavoro per catturare la sua furiosa creatività. Negli studi di Woodstock nel ’94 prende vita il suo primo, sorprendente, struggente e unico album, ”Grace”. Non so dire quante volte ho ascoltato quell’album, è difficile contarle, perché vieni rapito e trasportato in un viaggio abissale, dove quasi incredulo rimani paralizzato. Cazzo che sonorità!!! Dieci perle, dieci piccoli capolavori, dieci lamenti di distorta lotta contro i demoni. Il solitario gospel “Mojo pin”, “Grace”, “Love, you should’ve come over” fermano letteralmente il tempo. Spiccano anche le cover, “Hallelujah” di Leonard Cohen e “Liliac wine” di Nina Simone, cantate e suonate meglio delle originali, dove Jeff sfrutta la sua eccezionale estensione vocale. Da brividi è “Dreams brother”, la risposta a “Dream letter”, la canzone-messaggio lasciatagli dal padre. Che ci crediate o no questo disco non ebbe un successo immediato. La fama arrivò solo un anno dopo. Sono passati vent’anni, “Grace” è diventato un classico del rock, un piccolo miracolo musicale, un album da avere assolutamente in casa. Un confortante compagno di viaggio. Una cura per l’assenza di senso dell’esistenza. Se avete 51 minuti e 44 secondi liberi schiacciate play e …….…. perdetevi!!!

giovedì 2 ottobre 2014

Roba verde

Eh eh eh eh!!! So già cosa state pensando!!! Due post di fila che parlano di ricette e per giunta di quelle cazzo di zuppe!!! Il problema è che ne ho preparato una martedì e mi è venuta veramente bene. Quindi vi pubblico il risultato con la promessa che…. Boh, boh, boh per un po’ di tempo con le zuppe.  

Ricetta
Dati tecnici:
·       grado di difficoltà: facilissimo
·       tempo di preparazione: 20 minuti circa
·       tempo di cottura: il tempo di assemblare tutti gli intrugli
Ingredienti per 3 persone con un piccolo bis:
·       4 zucchine di quelle lunghe, non so il peso
·       Una patata
·       500/600 gr, di code di gambero sgusciate
·       80/100 gr, di mandorle pelate
·       Zenzero una radice
·       4 coste di sedano
·       Un dado vegetale
·       Sale, olio, pepe q.b.
Preparazione:
·       Tagliate a rondelle tutte le zucchine e la patata. Come la scorsa volta adagiatele in una grossa pentola, copritele a filo con dell’acqua e aggiungete il dado. Dovrebbero cucinare in pochissimo tempo. Quando saranno ben sfatte, usando un frullatore a immersione create la crema. Intanto prendete il sedano e lo zenzero, metteteli dentro un tritatutto e aggiungendo un bel po’ d’olio, tritate fino a quando il tutto non sarà diventato una crema. Dopo aver aggiustato col sale unite questo composto alla crema di zucchine. Ok, fino a qui è abbastanza semplice, il resto lo sarà ancora di più. Mettete le code di gambero in una padella antiaderente e lasciatele cuocere, abbrustolendole un po’. Bastano veramente pochi minuti. Una volta cotte unitele al composto, tenendone qualcuna da parte per guarnire il piatto. A questo punto non resta che impiattare aggiungendo un filo di olio crudo, una abbondantissima spolverata di pepe verde e le mandorle (quante ne volete voi, ci stanno benissimo). E’ una zuppa dal gusto molto particolare, lo zenzero ha un bel sapore deciso che ben si sposa col mare del gambero e la dolcezza delle zucchine. Provare per credere. A ME MI PIACE!!!